Così come è arrivato dalla strada così se n’è andato. Pluto è stato investito venerdì mattina, due giorni fa. Faccio fatica, una fatica immensa a scrivere queste poche righe, a dover lasciare queste parole qui dove di solito scrivo solo scemenze per farvi ridere. Ma questo è un diario disegnato e Pluto ne fa parte ed è giusto che ne faccia parte anche adesso che non c’è più, che il suo corpo da perfetto segugio giace sotto un enorme olmo nel mio giardino. Quell’olmo gli piaceva un sacco usava la sua corteccia come una lima per le unghie ed era riuscito a scavarla a fondo tanto era forte. Pluto era il migliore amico mio e di Milo e un componente fondamentale della nostra famiglia formata solo in minima parte da umani. Pluto era la creatura più dolce e sensibile che io abbia mai conosciuto e non lo dico perché è morto, lo dico perché è così e non potete immaginare quanto amore è riuscito a darci in poco meno di un anno. Non posso farvi capire come stiamo, come ci sentiamo in questo momento ma immaginate se vi strappassero il cuore e lo tenessero in pugno e stringessero quel pugno ogni volta che il vostro pensiero va al vostro amico che non rivedrete mai più. Fa troppo male davvero e non sono capace di spiegarvi fino in fondo.
Mi affido a Neruda le sue parole descrivono perfettamente il mio Pluto e il nostro rapporto.
Ode al Cane
Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi
sono due richieste umide, due fiamme
liquide che interrogano
e io non rispondo,
non rispondo perche’
non so, non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo
uomo e cane.
Brillano le foglie come
se qualcuno
le avesse baciate
a una a una,
sorgono dal suolo
tutte le arance
a collocare
piccoli planetari
su alberi rotondi
come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo
a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
nella campagna cilena,
fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma,
insegue le api,
salta l’acqua trepida,
ascolta lontanissimi
latrati,
orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso,
a me, come un regalo.
È la sua freschezza affettuosa,
la comunicazione del suo affetto,
e proprio li’ mi chiese
con i suoi due occhi,
perche’ e’ giorno, perche’ verra’ la notte,
perche’ la primavera
non porto’ nella sua canestra
nulla
per i cani randagi,
tranne inutili fiori,
fiori, fiori e fiori.
E cosi’ m’interroga
il cane
e io non rispondo.
Andiamo
uomo e cane uniti
dal mattino verde,
dall’incitante solitudine vuota nella quale solo noi
esistiamo,
questa unita’ fra cane con rugiada
e il poeta del bosco,
perche’ non esiste l’uccello nascosto,
ne’ il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi
per i due compagni:
un mondo inumidito
dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi
un gran prato,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che procede,
e l’antica amicizia,
la felicita’
d’essere cane e d’essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.